In un pomeriggio d’autunno, Capitanuncìno arrivò nella Piazza dei Coragni di Trecatarri.
Ana, una bambina coi capelli azzurri e gli occhi biondi, tirò le levette dei freni della sua bici rossa che si chiamava come un cavallo, piantò i piedi per terra e rimase incantata.
“Uau! E’ la nave di Capitanuncìno. E’ proprio luiii!”
Il vascello buttò l’àncora, che s’incagliò tra i rami dei tigli, e Ana cominciò a strillare: “I pirati! Sono i pirati di Capitanuncìno! Evviva!”.
Era ferma nel centro della piazza, con le gambe ben ritte che bloccavano la bici dal nome di un cavallo. L’indice della sua mano destra sparava sulla bandiera nera, che sventolava in alto.
“I pirati, i pirati… adesso scendono, arrivano! Arrivanooo!”.
Ana gridò a squarciagola, tanto che Perpe, il farmacista glabro, lasciò il bancone e accorse fuori. Lui, che conosceva Ana, la raggiunse e si fermò accanto a lei. Rimase in piedi, con le mani ficcate nelle tasche del camice. Il Sole non era distante dal tramonto e il vento alzava le piume dei coragni, che beccavano in cerca di molliche. In quella piazza, c’erano precisamente “millequarantaquindici coragni”, asseriva Ana. Marroni e bianchi, grigi, grigi e bianchi, bianchi, bianchi e marroni…
“Ma scusa, Ana, non è uguale dire bianchi e marroni piuttosto che marroni e bianchi?”
“No che non è uguale, testa di rapa. Bianchi e marr.. bianchi e m… bianchi e marroni vuol dire che… che mm.. che le parti bianche sono più grandi di quelle di quelle marroni”.
“Ah! E dunque, quando dici coragno marrone e bianco, vuol dire che quell’uccello ha le parti marroni più grandi di quelle bianche”.
“Già”.
Ana si accorse di Perpe, ma non lo guardò. Fissava la nave che ondeggiava al vento, due metri sopra il secondo tiglio. E aspettava in silenzio.
“Che succede, Ana?”, chiese Perpe, serio, con gli occhi strizzati e le mani sempre ficcate nelle tasche del camice.
“Capitanuncìno è arrivato”, disse secca.
“Uhmm… e da dove viene?”
Ana si voltò sorpresa. Come faceva uno come Perpe a chiedersi da dove viene Capitanuncìno. Capitanuncìno – tutti lo sanno – vive nella sua isola, l’Isola, mezz’ora a sud di Capo Delfini. Lui sta nel castello rosso, su in alto tra i capperi e le pale dei fichidindia, e ogni tanto si affaccia e saluta, e ogni tanto gli scappa qualche cannonata. Ma non lo fa per cattiveria. E’ solo stressato, sempre messo alla prova, perché giù, nella casetta a dieci metri dall’approdo, a dieci metri da quel mare dove si pescano ricci grossissimi e occhi di bue enormi, si diverte Piterpàn. A far impazzire, appunto, Capitanuncìno con interminabili trucchi.
Nell’Isola, ci stanno loro due, più alcuni bambini che però non si sono mai visti, più esattamente “millequarantadiciotto” lucertole dalla coda gialla, che guardano e ridono al Sole.
Dunque, Ana non rispose a Perpe. E tornò a guardare la nave, che si muoveva al vento.
Rimasero fermi, tutti e due. Mani in tasca e occhi strizzati, l’uno. Gambe ritte e petto in fuori, l’altra.
“Che aspettano a scendere?”, domandò Perpe.
“Aspettano che la Luna esce da dietro la nuvola”.
“Esca”, corresse Perpe.
“Esca?”
“Esca. Congiuntivo”
“Ah, già. Esca”.
In quell’istante passò vicino a loro un grosso cane da slitta con l’imbracatura, che guardò perplesso la strana espressione di Perpe, col mento stretto e le labbra arricciate.
Voltandosi verso il suo compagno uomo, il cane sussurrò – come solo i cani da slitta sanno fare: “Sembra che quel tipo voglia baciare il vento”. Poi voltò il proprio testone verso la Luna, che si stava scrollando di dosso la nuvola – perché i cani da slitta sentono che c’è la Luna in cielo anche se è coperta dalle nuvole, e aspettano. Sono un po’ come i lupi: guardano la Luna per capire, e forse anche per sognare.
Il cane da slitta, quindi, si fermò vicino a loro, a guardare e forse a sognare. Salutò pure la bici, discretamente: “ciao Spirit”. Fin quando Ana, sempre con lo sguardo fisso al vascello, cominciò a battere le mani. Perpe allungò il collo, quasi chiudendo del tutto gli occhi.
“Eccoli, i pirati! Ecco Capitanuncìno!”
Con un balzo, la ciurma fu sulla chioma del tiglio, poi sul lampione e poi qualcuno di loro gettò una corda dall’altra parte della strada, su un balcone. I pirati s’arrampicarono per la grondaia, arrivarono ai tetti e da lì fu un gioco da ragazzi. Presero la Luna bianca e con un colpo netto, la tagliarono precisamente a metà.
“Ben fatto, miei prodi!”, urlò Capitanuncìno. “E adesso, si salpa. Issate l’àncora! Viaaa”.
Perpe sgranò gli occhi, e gli scappò un piccolo urlo: “La Luna a metà!”
“Già”, disse Ana, senza scomporsi.
“Uu-u!”, mugugnò il cane da slitta, agitando la coda bianca.
“Capitanuncìno è un gran… un gran signore. E’ venuto qui e ha preso… lui ha preso mezza luna per portarla ai pescespada e ai saraghi, che non l’hanno mai avuta, così anche loro possono sognare e innamorarsi. Perché loro… loro, i pescespada e i saraghi, tutti li pescano e nessuno pensa a loro. Ma lui sì”.
Perpe tirò fuori le mani dalle tasche e applaudì, guardando la scia di schiuma nel cielo. Ana era già dieci metri più avanti, che pedalava tra i coragni che si scansavano con quel buffo movimento del collo in avanti a ogni passo. E il cane da slitta – come solo i cani da slitta sanno fare – tornò dal suo amico uomo e gli sussurrò a un orecchio: “Quel tipo senza pelo in testa, oggi ha baciato il vento. Uu-u!”.