Cu fu?

Stralcio della trama del film “2018, Odissea nello strazio”

Chi è stato? La croce di ferro, di tre metri, lassù, sulle sabbie scure del Cratere del Laghetto, chi l’ha portata?
C’erano delle tribù di pitecantropi, che ogni mattina si adunavano e si minacciavano tra di loro per la supremazia del territorio, con urla e strepiti: “E’ mio, è mio, quel turista è mio!!”
C’era musica, nell’aria di montagna, qualcosa che iniziava con i tamburi lontani, poi sempre più vicino, incombenti come il presagio di un qualche miracolo.
Poi, una mattina d’agosto, parlò Zaratustra. Così, con una cosa che le creature trovarono all’improvviso sulle sabbie scure: due bracci di ferro messi a croce, una grande croce più alta di qualsiasi piteco mai esistito. Una cosa enorme. Si ammutolirono tutte. La osservarono. La osservarono ancora. Si avvicinarono, molto incuriosite.

Furono chiamati gli scienziati, che vennero con tute e attrezzi. Misurarono, sondarono e capirono che la fonte di radio frequenze veniva dalla Luna, dove trovarono un’altra croce, ancora più grande, ma delle stesse, celesti, proporzioni.
Almeno così parlava Zaratustra, in una musica indimenticabile, da film.
Il crocelito di Lagho, dissero gli scienziati per la croce sulle sabbie scure del Cratere del Laghetto. Così sia.
Ma la domanda era: cu fu? A posarla lassù, chi è stato?
Dalla Luna, arrivò la risposta, che puntava dritto su Giove, che nel cielo d’agosto brilla come un pirosseno. La musica divenne assordante, un raggio di luce balenò per il Sistema Solare, fino a toccare il metallo del crocelito. E farlo splendere come in un miracolo, appunto.

Le creature si alzarono in volo tutte insieme e senza ammuttari, prede di un irrinunciabile richiamo dal sapore di evoluzione, e il crocelito scomparve. In silenzio. Puf.
La musica, che era arrivata a vette cosmiche, pure. Zaratustra finì. Silenzio. Puf.
Di spalle, un signore anziano, con i capelli bianchi, spostò un chicco di un niente, come per mettere un pizzico di ordine proprio a certe sue cosette. Un capello più a sinistra, non di più.
Mi scusi, sir Arthur Clarke?
Sì?
Cu fu?
Se mi permette, è sbagliata la domanda. Ci vediamo tra altri diciassette anni, in un’altra odissea.

Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020). Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina. Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
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