Attacco mafioso al cuore dei parchi siciliani

il Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci
il Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci

Il Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci scampa ad un agguato mafioso grazie alla scorta: «Non mi fermeranno»

«Se pensano con il piombo di stanotte di avere fermato la mia azione di legalità, si sbagliano di grosso. Perché più passano le ore e più penso di essere dalla parte giusta e non mi fermerò qui». Così il Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, dopo il vile agguato di chiaro stampo mafioso al quale è riuscito a scampare grazie al pronto intervento della scorta che lo accompagna da quando, alla guida dell’ente parco, ha imposto un indirizzo improntato sulla legalità.
Tutto è avvenuto in pochi istanti, la notte di mercoledi 18 maggio, sulla strada che da Cesarò conduce a Sant’Agata di Militello che Antoci e la scorta stavano percorrendo a bordo di un’auto blindata: l’autista costretto a rallentare per alcuni massi sulla carreggiata e i killer che scaricano il piombo contro la vettura. Ma la pronta reazione dei poliziotti di scorta e della seconda auto, sulla quale c’era anche il vice questore aggiunto Daniele Manganaro, ha messo in fuga il commando e ferito uno dei killer che, tuttavia, è riuscito a fuggire.
«Abbiamo bloccato il business di terreni demaniali ottenuti dai mafiosi in concessione da amministratori corrotti o impauriti a 30 euro per ettaro anziché 3 mila per accaparrarsi dalla Ue fondi da 500 mila euro cadauno per colture biologiche mai impiantate». Questo, per il Presidente del Parco dei Nebrodi, il movente dell’agguato.

“Turbamento e preoccupazione” per l’agguato mafioso al presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, è lo stato d’animo della Presidente del Parco dell’Etna, Marisa Mazzaglia, che si fa interprete del sentimento dell’intero ente. «Esprimo la più sentita e profonda solidarietà del Parco dell’Etna al presidente Antoci – scrive Mazzaglia in un comunicato – vittima di un agguato assolutamente sconvolgente per le modalità. Tutto il mondo dei Parchi si stringe attorno ai Nebrodi in questo momento così difficile e delicato. Siamo accanto ad Antoci  al quale manifestiamo  la totale condivisione della sua battaglia e del suo impegno per liberare il territorio dei Nebrodi dalla mafia e dall’illegalità».

Anche l’Associazione Etnaviva, in un comunicato, esprime solidarietà al Presidente Antoci, sottolineando che anche sull’Etna è necessario rafforzare il controllo del territorio.
«La determinazione ad uccidere manifestata con l’attentato al presidente del Parco dei Nebrodi, Antoci, ed alla sua scorta – si legge nella nota – dimostra ancora una volta che in Sicilia l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente è innanzitutto una battaglia di legalità. I frequentatori delle nostre aree protette sanno che sono stati fatti degli importanti passi in avanti negli scorsi decenni, ma che ancora esistono ampi fenomeni di illegalità quasi del tutto impuniti. Nel manifestare solidarietà e vicinanza al Presidente Antoci vogliamo ricordare che sull’Etna su un fenomeno come quello delle micro discariche non esiste sostanzialmente nessuna forma di repressione da parte delle varie forze dell’ordine; così come sono presenti forme di pascolo abusivo che rappresentano evidenti prevaricazioni delle regole oltre che in qualche caso sfacciata manifestazione di controllo del territorio.

Tutelare l’ambiente in Sicilia – aggiunge Etnaviva – vuol dire conservare la natura, ma significa affrontare battaglie di legalità su cui lo Stato deve dare dei segnali palesi, anche con un intervento diretto di coordinamento da parte dei Prefetti. Oggi chi appesta l’Etna con discariche di materiali di ogni tipo sa di non correre quasi nessun rischio di essere sanzionato. La mafia dei pallettoni sparati per uccidere – conclude l’associazione ambientalista – è probabilmente legata agli affari milionari dei fondi europei da gestire, ma si radica su un territorio dove è raro percepire la presenza “fisica” dello Stato, che deve invece in tutte le sue articolazioni esprimere anche una capacità repressiva, perché altrimenti le battaglie culturali vanno poi a naufragare nell’assenza di controllo del territorio.»

(21 maggio 2016)

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