Sugghiata #09: Il cuore nero

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Il mio cuore è nero. Io non so dove finisca la zona SIC e dove inizi la ZPS. Io non conosco il regolamento della Zona B e non ho fatto festa perché l’Unesco si sia accorto dell’Etna. Io farò festa quando vedrò le persone del luogo proteggere davvero questa terra. Io farò festa quando non sarò costretto a scappare dall’altro lato della montagna, in fuga dall’inferno di rumori impensabili dentro uno dei boschi più vecchi di questa montagna. Farò festa quando le coturnici non dovranno abbandonare i nidi con le uova appena deposte, per mettersi in salvo dal bombardamento acustico di un festival assassino che è durato tre giorni e due notti; quando nessun ghiro sarà crepato di paura appena destatosi dal letargo; quando ghiandaie, corvi, volpi, allocchi, assioli, martore, donnole, talpe, poiane, cince, picchi saranno amati e rispettati, quando il loro diritto a vivere bene sarà davvero uguale a quello degli uomini.

Il mio cuore è nero, perché dentro i nidi abbandonati, nel terrore di quelle bestie in fuga precipitosa, c’è una parte di me, che ha paura che non ci sia più scampo per nessuno, animali e chistiani; che la voglia di potere indiscusso di alcune persone possa avere già calpestato l’ultimo diritto seppur scritto e l’ultimo pensiero di appartenenza alla natura.

Voi non ci crederete, ma rannicchiato sotto le fronde di un leccio secolare, io ho pianto e ho spento il cuore pensando a voi, che permettete ancora queste violenze sulla vostra stessa anima. Perché non avete ancora capito che quassù non c’è né mio né tuo, non c’è nessun confine tra animali, alberi, roccia e chistiani. Questa non è periferia, questo è il tesoro che non vedete.

Poi, certe visioni vulcaniche lontane mi hanno tirato la coperta di dolore e son dovuto scendere a capire. All’interno di un antico monastero, ho visto altri ragazzi che mostravano la loro passione, con la riproduzione di questa natura in brevi film. Ho ascoltato le loro parole e in due di loro (uno secco con gli occhiali, guarito in montagna dalle sue paure, e un altro gigante dal nome tedesco che non sa parlare il tedesco, rimasto in questa terra per questa Montagna), mi sono commosso e gli occhi hanno ripreso a lacrimare. Di gioia. Di vita. Ci sono ancora i chistiani tra i ragazzi – mi sono detto –, forse ancora c’è speranza.

Altre parole secche, esatte, un chistiano non più giovane le ha pronunciate alla fine: ricordiamoci che la musica più vera che possiamo ascoltare, è quella della Montagna.


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