“Semplice” il teatro che scende in sala

Quante volte entriamo in Teatro con idee e pensieri diversi, e se conosciamo il nome del regista o degli attori, spesso con delle aspettative rispetto allo spettacolo che stiamo andando a vedere. E’ naturale, doveroso. Nel teatro così detto tradizionale, lo è. Ma nel teatro di Salvatore Greco questo concetto viene scardinato sin dalle prime battute del suo testo inedito che lo ha visto debuttare al Castello Ursino giorno 23 settembre (in replica giorno 30) insieme all’attrice Barbara Gallo.
“Semplice”, il suo titolo. Un monologo di una donna, attrice, regista, soprattutto sé stessa che da sola sul palcoscenico – che è anche casa – si rende consapevole per la prima volta di sé, della sua vita, della sua arte. Ed esprime tutto ciò in un monologo che parte lentamente, e che piano piano si snoda e diviene dialogo, creando percorsi invisibili di coinvolgimento del pubblico fino a che, a un certo punto, senza sapere come, lo stesso si ritrova su quel palcoscenico/casa. In ogni senso.
Lo spettacolo segna uno spartiacque nel panorama artistico teatrale, con l’ambizione non peregrina di abolire la fastidiosa e anacronistica distinzione tra il teatro tradizionale (classico, di figura, di narrazione) e ciò che il mondo considera teatro contemporaneo, forgiando l’unica soluzione possibile: che il teatro sia teatro e basta e che restituisca allo spettatore la sua importanza primaria. Un concetto che il regista manifesta fin dalle prime battute del suo testo, rendendo fruibile l’arte attraverso la narrazione – che diventa regalo e scambio reciproco di condivisione di emozioni con il pubblico -, di un racconto. Perché la magia sta nel saper raccontare una storia in modo autentico, naturale, lasciando fuori schemi, strutture, stile e manierismi di un teatro ormai stanco, e facendo fluire l’unica cosa di cui siamo ricchi, enormemente ricchi: la fantasia. La fantasia che fa diventare semplice qualsiasi cosa, in apparenza, complessa. Come il copione di quest’opera che nel surreale trova le valvole di sfogo nei momenti più intensi dello spettacolo, per catturare, ogni istante che le segue, l’attenzione dello spettatore e ricondurlo lì, alla leggerezza, dove tutto è più “Semplice”.

Foto: William Russo


Un testo difficile che lavora in profondità e di questo ci si rende subito conto subito conto dal primo istante in cui entra in scena l’attrice, Barbara Gallo che lo interpreta con esperienza e intensità, vivendolo su sé stessa, lasciando trasparire, attraverso la sua naturale nudità, ogni emozione, ogni sensazione, ogni esperienza, bella e brutta vissuta sulla sua pelle. Una nudità ed una consapevolezza mature e incarnate, dopo anni di esperienza teatrale e di lavoro su sé stessa, che si manifestano e acquistano potenza attraverso la bellezza di ogni singola battuta, di ogni scena dello spettacolo, contraddistinta da un colore specifico, perché ogni cosa in questo spettacolo ha un senso ed ognuno si porta a casa il suo. La poliedricità di Donna, che raggiunge la sua massima espressione nel ruolo di regista, nella scena della filata dei vari personaggi interpretati – scena in cui la protagonista diventa a tratti ironica, a tratti sarcastica, entrando e uscendo dalle diverse rappresentazioni quotidiane del Sé -, restituisce, in termini di accoglienza del messaggio da parte delle coscienze, sonore risate di cuore o a denti stretti, o anche silenzi improvvisi, tutti segni di ricezione di un messaggio avvertito come intimo e profondo. Ognuno viene colpito là dove un gesto, un ammiccamento, uno sguardo, uno strabuzzamento di occhi, o l’intonazione della voce sapientemente modulata dall’attrice, riflette la nostra immagine ferita. Si ride, ci si identifica, ci si perde in un casting emotivo senza sosta. Rincorri con gli occhi Donna che, sul palcoscenico, non dà tregua a sé stessa e al pubblico, non si risparmia, non ci risparmia. Fino a quando, il silenzio e la vestizione della sacralità, materializzata in un candido e sciamanico abito bianco (che porta la firma dello stile elegante e naturale di Gabriella Ferrera) conduce lo spettatore alla nuda verità e alla domanda iniziale che la protagonista rivolge al pubblico, in un gioco/finzione che si rivela infine realtà: chi siete voi?
“Ognuno di noi ha un’anima che lo spinge oltre ogni limite, fuori dallo stereotipo adeguato. Il teatro va incontro al pubblico partecipa un discorso fantastico. Senza questa disponibilità alla libertà non può accadere la magia. Sono grato alla mia vita perché posso realizzare un teatro che porti gioia e cultura a chi vuole nutrirsi di esso”, è il motore che muove tutta l’opera di Salvatore Greco e le testimonianze del pubblico presente alla prima dimostrano che il pubblico è pronto per questo messaggio, ha solo bisogno di essere considerato protagonista attivo di un racconto magico.
“Abbracciati! Lei dice “Abbracciati” e si abbraccia quasi a mostrarti come si fa, e sento che non è che non è che non lo so fare ma che ho quasi vergogna ad abbracciarmi, fino a che poi capisco che ho vergogna di me di fronte a una me che appaga il bisogno di abbracciarsi. Semplice è il desiderio di non avere nulla da aggiungere a tutto ciò che si dice dell’amore”.
“Diffidenza e attesa…ma dove vuole arrivare? Lo spettacolo parte in sordina, lentamente, ma ha il suo ritmo che alla fine ti trova inaspettatamente coinvolto. Io credo che le emozioni non riescano a passare se l’animo ha delle barriere, dei preconcetti. Quando alla fine ho avuto la sensazione netta che l’attrice avrebbe chiamato me, l’impulso iniziale è stato quello di oppormi, fare resistenza, ma poi mi sono “sciolta” e mi sono lasciata condurre”.
Perché l’Amore non è forse la fine della resistenza?

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