Mompileri 1669, cronaca di un’agonia

L'eruzione del 1669 in un dipinto di Giacinto Platania, collocato nella sacrestia della cattedrale di Catania. Con licenza Public domain tramite Wikimedia Commons - http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Etna_eruzione_1669_platania.jpg#mediaviewer/File:Etna_eruzione_1669_platania.jpg
L’eruzione del 1669 in un dipinto di Giacinto Platania, collocato nella sacrestia della cattedrale di Catania

Le testimonianze dell’eruzione del 1669 scritte da chi ha visto cancellare dalla lava il proprio paese, le sue case, le sue chiese, i suoi monumenti

di Salvo Nicosia

“Sorgeva Mompileri sulle falde meridionali dell’Etna, ed a pie’ del Monte omonimo nella Valle di Demone. Confinava a Nord-Est, con Nicolosi: ad Ovest e Nord-Ovest coll’antico e distrutto Malpasso: ad Est e Sud nessun paese gli era limitrofo…”.

Inizia così la narrazione, lasciata dal sacerdote Giuseppe Lombardo nell’anno 1898, di un luogo che non esiste più da tre secoli, ricoperto di sciara nera e di ginestre. Parlare di Mompileri, oggi è parlare unicamente del Santuario dedicato alla Madonna della Sciara, situato nella parte meridionale dell’Etna. Fa parte del territorio di Mascalucia e si trova sulla strada un tempo chiamata del “Bosco Etneo”, che arrivava a Nicolosi e si inerpicava, poi, sul vulcano. Ma non è stato sempre così.

I documenti storici ci dicono che, sul posto dove oggi c’è il Santuario, esisteva un monte con un popoloso centro, chiamati entrambi Mompilieri, i cui abitanti erano occupati nell’allevamento di pecore e capre, nella coltivazione della vite e nelle attività nei vicini boschi, da cui traevano legna, castagne e carbone.

Il paese contava 163 fuochi (cioè famiglie) per complessivi 628 abitanti ed era conosciuto e famoso soprattutto per l’esistenza della Chiesa Maggiore – costruita forse all’inizio del XV secolo – dedicata alla Vergine Annunziata. Il Tempio Sacro era situato sul versante nord del paese, aveva pianta basilicale a tre navate, con colonne e pilastri di lava che ne sorreggevano la volta. Sulla navata destra, poco oltre l’ingresso, insisteva un altare con una pregevole immagine della Madonna delle Grazie; dietro l’altare maggiore un altro gruppo marmoreo, custodito entro un tempietto d’alabastro, conservava le statue dell’Arcangelo Gabriele e della Madonna, mentre riceve l’Annunzio dell’Incarnazione: erano, queste, tutte opere di Antonello Gagini, insigne scultore siciliano del Cinquecento.

Oltre ad essere delle bellissime opere d’arte, queste statue erano venerate da moltissimi fedeli, che giungevano da ogni parte della Sicilia, poiché ritenute prodigiose: esse erano oggetto di venerazione in particolar modo dalle donne, che chiedevano l’intercessione della Celeste Madre per avere un figlio.

Negli anni 1536 e 1537, due eruzioni dell’Etna avevano danneggiato in parte il paese ed il Santuario, ma tutto il centro fu totalmente distrutto e coperto dalla più grande eruzione d’epoca moderna che si ricordi del vulcano, avvenuta il 12 marzo 1669. Quella stessa eruzione arrivò a Catania, la seppellì in massima parte ed allontanò la costa per oltre un chilometro. Una cronaca di questo grande disastro fu scritta nel 1688 dal cappellano di Mompileri, Don Antonino di Urso, che così racconta quei terribili giorni: “…Nel giorno 11 del mese di Marzo e giorno di lunedì nelle ore tredici, un altro terremoto più forte, fece cascare tutte le Chiese e molte case della vicina terra delli Nicolosi…Nello stesso giorno, vicino il Monte Fusaro, si apriva molto terreno e molto foco e fumo usciva da quella bocca infernale. Era tanto il rumore che pareva il finimondo. Lo foco cominciò ad abbrugiare la Guardia di Malpasso e poi Malpasso. Lo Duca Massa, Signore di questa terra, temendo che la lava copertiasse il nostro paese e si coprissero le divine Statue della Madre di Dio, mandò il suo Governatore con molta gente, per trasportare le Statue dell’Annuntiata e portarle al sicuro. Tutti noi paesani havemo la speranza che il Monte (M. Mompileri) non facesse passare la lava. Ma ci ingannamu! Mentri lo foco calava e abbrugiava Malpasso, si divise in due braccia e copertò i quartieri di Potichelle, il Casale di Sant’Antonio e camminava contro la terra di San Pietro e Camporotondo.

“Stando tutti noi tremanti pel pericolo, la terra si aprì, la quinta volta dietro il Monte Mompileri e lo foco si spartì in due strade, uno brugiò il resto della Terra delli Nicolosi e l’altro circondò il detto Monte e minacciava il nostro paese, che sino a quella ora non havea havuto danno alcuno.

I paesani erano convinti che il Monte Mompileri riuscisse a trattenere la lava, deviandone il corso e non vollero togliere nulla dalle case e dalla Chiesa Maggiore, in particolar modo l’effige della loro Patrona.

Ma successe l’irreparabile: la pressione esercitata dalla lava sfondò la base del Monte Mompileri ed un lago di magma incandescente si riversò sul paese. Così continua il racconto di Padre Urso: “Il giorno 12 di Marzo, verso le hore 22, lo foco passò la parte del monte che guarda il nostro paese e cominciò a correre sopra la nostra terra e danneggiare ogni cosa. Copertò la strada che porta alli Nicolosi e poi lo foco camminando forte e senza risparmiare quello che incontrava, pervenne nella Chiesa Maggiore e cominciò a copertala e a diroccare il tetto, ch’era forte e solido. Allora tutti ci credemmo perduti e nessuna speranza havemo di restare salvi…Tutti li abitanti di Mompileri abbandonarono subbito le case, trasportando solo pochi oggetti…il nostro paese, dopo poche ore, era un ammasso di sciara e pietre…”

Il parroco finisce il racconto di quel giorno terribile con una invocazione: “Forse tempo verrà e Iddio nella sua misericordia ispirasse di far trovare le Statue che si perdettero sotto la sciare e trovate allora di nuovo si accenderà lo amore pella Madre di Dio ed il brugiato Mompileri sarà un’altra volta la sede della Grazie della Gran Signora Maria, e verranno come prima tutti i devoti nel nostro paese… Io spero che trovando sotto la sciara le Statue, sarà un gran festa.”

I Mompileresi, armati di buona volontà, ricostruirono le loro case un po’ più in basso, fondando Massa-Annunziata e costruendo una nuova chiesa, dedicata all’Arcangelo Michele, che del nuovo borgo divenne il patrono. Una statua dell’angelo, risparmiata dal fuoco e miracolosamente ritrovata su un campo di magma spento, fu posta sull’altare maggiore. Ma il ricordo della bella immagine della Madonna restava nel cuore dei paesani e più di una volta tentarono, con i mezzi ed il denaro che metteva a disposizione il Duca di Massa – signore di quella terra – di scavare attraverso la durissima pietra lavica per recuperare quello che a loro era così caro.

E’ il 1704. Una donna del paese riceve in sogno la Madonna e Questa le indica il punto esatto dove scavare tra le lave, per ritrovare la statua a Lei dedicata – nel titolo di Maria delle Grazie – raffigurata col Bambino tra le braccia. Le ricerche riprendono con vigore ed il 18 agosto dello stesso anno, dopo essere scesi per otto metri nella roccia, gli scavatori trovano una grotta all’interno del magma, formatasi grazie ad una bolla d’aria. Quella bolla ha risparmiato l’altare delle Grazie e la statua della Madonna è intatta, dopo 35 anni di buio e solitudine. Solo uno spuntone di lava le tocca la nuca e quasi la protegge.

Il miracolo preannunziato da Padre Urso si è avverato. Viene costruita in appena 50 giorni una chiesetta rustica per accogliere la Madre di Dio, grazie anche all’intervento del devoto Duca di Massa: la venerazione dei pellegrini, da quel fausto giorno, non è più cessata. A ricordo del prodigio, ogni anno viene celebrata una grande festa, la terza domenica di agosto e sono tante le persone che, già la sera del sabato, iniziano una veglia di preghiera e di ringraziamento alla Vergine per la sua continua intercessione.

Nel 1955, una campagna di scavi effettuata all’interno della Chiesa Maggiore ha riportato alla luce le teste dell’arcangelo Gabriele e della Madonna, appartenenti al maestoso gruppo gaginiano. Inoltre, è possibile accedere alla grotta del ritrovamento, attraverso una scala ripidissima che si insinua nell’antica colata; nella caverna, dalla temperatura gelida, si ammirano l’altare dove fu trovata la statua delle Grazie, le basi delle colonne, l’ossario e l’abside della Chiesa.

Mompileri e la sua sepolta cittadina, furono autorevolmente menzionate da Federico De Roberto, nel suo “I Viceré”, per bocca di Don Eugenio Francalanza, strampalato zio del protagonista, il Principe Consalvo Uzeda di Francalanza. Questi, spinto da una farneticante mania archeologica “…aveva concepito… il disegno d’iniziare una serie di scavi come quelli visti ad Ercolano e Pompei, per discoprire il sepolto paesuccio ed arricchirsi con le monete e gli oggetti che avrebbe sicuramente rinvenuti… Il cavaliere gironzava nei campi di ginestre e fichi d’India sotto Mompileri, con antichi libri in mano, orientandosi per mezzo dei campanili di Nicolosi e di Torre del Grifo…” Alla ricerca disperata di finanziatori, il nobile si spinse a scrivere al re borbone “…intorno la convenienza di essere intrapreso il discavo della Sicola Pompei ossivero Massa Annunziata, vetusta terra mongibellese, sepolta nell’anno di grazia 1669 dalle ignivome lave in quell’incendio vulcanico, con tutte le sue ricchezze che conteneva…”

Sebbene l’idea sia stata fuori dal comune, l’eccentrico personaggio non aveva poi tutti i torti perché attorno al luogo vi sono una lunga serie di siti, scampati alle eruzioni, che vale la pena elencare e valorizzare, a cominciare da Monte Mompileri e dal lago di lava spenta che lo circonda. Dalla vetta del cratere – i cui crinali verdeggiavano di vigneti e castagneti – oggi ridotto a pascolo (con le conseguenze che ne derivano), si gode un ampio panorama della costa orientale della Sicilia, sino ad Augusta; con lo sguardo si può ripercorrere il cammino che la lava fece nel 1669, investendo casali e terreni sino al mare di Catania, nel quale penetrò per circa due chilometri aggirando il Castello Ursino, che un tempo si affacciava sullo Jonio.

In posizione frontale rispetto al Santuario, si trova la Grotta dell’Eremita, cavità ricavata dall’uomo sotto un massiccio lavico, abitata per anni da un anacoreta. Nei pressi vi è una porzione di territorio risparmiata dalla lava, in cui si trovano, dell’antico abitato di Mompileri, uno scorcio di casa rurale, con una cisterna circolare ed una “trazzera”.

Poco distante è la Chiesa della Misericordia, posta sull’antico confine tra i territori di Mompileri, San Pietro Clarenza e Malpasso. Questo è uno dei pochi edifici superstiti, insieme a poche stradelle circostanti, che vide il fuoco incandescente arrestarsi a qualche metro dal portone d’ingresso. Dove non giunse la lava poté l’uomo: la chiesa versa, oggi, in un evidente stato di degrado, che rischia di compromettere definitivamente alcuni pregevoli affreschi, ancora visibili sulla parete frontale. Risparmiato dal magma un tratto di una delle vie maestre del casale, che saliva verso l’Etna, così come piccole porzioni di muri a secco, di ovili, di boschetti che, improvvisamente, emergono dallo spesso strato di pietra nera del comprensorio.

Ad antico splendore è, invece, ritornata la Chiesa della Madonna Bambina, la più esterna dell’abitato dell’antica città e per questo rimasta a distanza di sicurezza dal campo lavico. Dopo anni di abbandono, grazie ad un intervento di restauro, la Chiesa è stata recuperata e restituita alla comunità di Mascalucia, cui è affidata la memoria storica dell’antico casale sommerso dalla lava.

Un altro sito che riveste particolare importanza è la sciara che insiste proprio al di sotto della Grotta dell’Eremita, dove un tempo c’era la chiesa di San Marco. L’ampio spazio, oggi totalmente ricoperto di ginestre, fu utilizzato come set cinematografico dal regista John Houston, per realizzare alcune scene del colossal “La Bibbia”. Lì furono girate le parti finali del film, cioè quelle che illustrano il sacrificio di Isacco e la caduta delle mura di Sodoma e Gomorra. Se ci si addentra nella campagna, non sarà difficile trovare i ruderi dell’ara sacrificale e di altre parti scenografiche realizzate in pietra lavica.

Vedremo se il tempo (proverbialmente “galantuomo”) e la volontà degli uomini, daranno ragione alle “strampalate” idee di Don Eugenio.

Salvo Nicosia

(12 settembre 2014)

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