Pubblicato dalle Edizioni Caracol, il volume “Il disegno delle eruzioni storiche dell’Etna – percorsi iconografici dal XVI secolo ad oggi” di Tiziana Abate e Stefano Branca che ricostruisce attraverso incisioni, dipinti, carte topografiche, la variazione del territorio etneo nell’ultimo mezzo millennio a causa degli eventi eruttivi
di Sergio Mangiameli
“Io notai che per un’opera monografica su uno dei più importanti vulcani della Terra, ci volevano ben altri requisiti. Hoffmann, il quale riconobbe immediatamente l’insufficienza dei dettagli topografici della carta siciliana relativi all’Etna, mi comunicò che il dottor Westphal, aveva l’intenzione di elaborare una carta più precisa e a scala più grande. Mi esortò, pertanto, a mettere mano a quest’opera irrealizzata”.
Wolfgang Sartorius, barone di Waltershausen, considera questi pensieri all’età di ventiquattro anni, dopo aver deciso di andare a Berlino per conoscere l’illustre professore di geologia, Friedrich Hoffmann. Tiziana Abate e Stefano Branca – entrambi catanesi; la prima è architetto, ricercatrice alla Sorbona a Parigi; il secondo, primo ricercatore dell’INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia presso l’Osservatorio Etneo, studia le eruzioni preistoriche e storiche dell’Etna e analizza il loro impatto anche sulla popolazione – hanno l’accuratezza di riportare anche le note tradotte di Sartorius von Waltershausen, il grande studioso dell’Ottocento del nostro vulcano, nel loro volume “Il disegno delle eruzioni storiche dell’Etna – percorsi iconografici dal XVI secolo ad oggi”(Edizioni Caracol, Palermo 2015, 111 pagg., 35,00 euro).
Questa mirabile opera, resa possibile dal sostegno economico dell’INGV, supera sia le categorie del catalogo storico sia del manuale tecnico, e si affaccia con curiosa precisione al racconto degli ultimi cinquecento anni sulla capacità e sull’umana genialità. Traspare in tutte le sue righe il carico di energia e l’intelligente compassione degli autori verso gli uomini del passato (si specificano i tempi e le fatiche occorse agli studiosi per completare i loro lavori: tredici anni di rilievi per una carta topografica!).
Abate e Branca hanno dovuto svolgere necessariamente un copione artistico, per ricercare e immedesimarsi nei vari personaggi che hanno segnato il corso dell’ultimo mezzo millennio di storia conoscitiva dell’Etna. Insomma, il risultato è così bene riuscito che sembra di ritrovare le stesse note di passione che musicano le grandi imprese: Sartorius e Luigi Mayer (a quest’ultimo viene affidata l’emozionante immagine di copertina) come Branca e Abate in quest’opera.
Non c’è qualcosa di simile, oggi, prodotto sia nella sostanza che nella forma. Perché il volume si presenta con una certa eleganza, in veste rigida, con le illustrazioni a colori, caratteri classici e rilegato a filo di rete. Dentro, il testo è tutto in doppia lingua ita-ingl come nei migliori lavori scientifici, e inizia con la prefazione di Stefano Gresta, presidente dell’INGV, e con la presentazione di Edoardo Dotto, professore associato in disegno dell’architettura presso Unict facoltà di Siracusa.
E’ un lavoro moderno e interdisciplinare, sulle orme dello stesso genio di Sartorius, modulato per una completa conoscenza del nostro passato, che non può prescindere dal rapporto uomo-natura. E’ un lavoro che esalta lo spirito dell’uomo, dove la spinta motivata, la cura e la pazienza – valori preziosi –, percepibili nella lettura del testo e nell’osservazione delle illustrazioni scelte, concorrono insieme alla definizione di un contorno di bellezza.
Spiegato questo, viene poi spontaneo considerare quanto siano stati soprattutto i viaggiatori stranieri a fare la storia scientifica dell’Etna, a riprova di come l’Etna sia stata da sempre patrimonio dell’umanità senza che gli etnei stessi ne fossero stati consapevoli (un po’ come oggi, il metro percepito in genere con cui trattiamo il nostro territorio: abusi edilizi, illegalità diffusa, abbandono di rifiuti in zone protette); quanto sia stato per loro fondamentale vivere l’Etna – lo stesso Sartorius, il primo redattore della carte geologica del vulcano, ha vissuto per un certo tempo all’interno della Valle del Bove – nei luoghi più estremi e rappresentativi, come le quote sommitali, e di conseguenza viene facile l’evidente parallelismo con la situazione restrittiva odierna, che vieta l’accesso proprio durante l’attività vulcanica. Immaginiamo questi divieti istituzionali – da cancellare sia sotto il profilo umano, che scientifico, che culturale – se fossero esistiti nei secoli passati, quanta scienza e conoscenza sarebbero mancate.
Nell’interessantissima lettura di questo volume, si trova anche spazio per alcune pelose curiosità. Passando a setaccio le riproduzioni, ci si diverte nei toponimi letti: La Pedara (con l’articolo femminile), Adernò (per Adrano), Tremisteri (per Tremestieri), Iacireale (per Acireale), Maretto (per Maletto), Cifali (per il quartiere Cibali di Catania). E si trova anche l’errore tutto italiano, riportato per la prima volta dall’Istituto Geografico Militare sulla base esatta del tedesco Sartorius, e ripetuto per più di un secolo fino alla produzione della penultima carta geologica di R. Romano et alii del 1979: la datazione delle Bocche di Fuoco, bottoniera dell’alto versante occidentale, che non è del 1848 ma del 1843.
In ultimo, nella tasca della quarta di copertina, c’è un regalo, anzi due: l’inizio e la fine attuale della ricerca scientifico-cartografica dell’Etna. La carta al quindicimila della Valle del Bove del 1879, frutto del rilevamento eseguito dal Sartorius, e la carta delle eruzioni di epoca storica di Stefano Branca, al centomila, estratta dall’ultima pubblicata nel 2011 insieme a Coltelli, Groppelli e Lentini.