Sugghiata #21: Le cose piccole

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Voi credete che io sia nato sugli spigoli vivi dei lapilli, sui brillamenti dei pirosseni. Pensate che il mio aspetto così repellente abbia a che fare con gli inferi, che credete di vedere da quassù. Forse immaginate di mettervi a pancia ingiù, tirarvi con le mani fino al bordo della botola e scrutare il fuoco sotto, i suoi fumi, il diavolo – che poi, tanto per esser chiari: fuoco non è, fumo non è, e il diavolo non c’è. Se fossi nato tra le sciàre, non mi sarei dannato l’anima a scrivere parole convinto che le parole non cambieranno il mondo, ma qualche uomo sì. Fossi nato quassù, i miei occhi si sarebbero formati con la linea di questi orizzonti, avrei odorato resina e zolfo senza niente prima, le mie dita avrebbero conosciuto questa terra d’origine subito, e le mie orecchie avrebbero ascoltato con nitidezza ogni suono della natura. E tutto questo, sarebbe stato semplicemente la normalità.

Io sono nato al centro di città ed ero un chistiano. Sono cresciuto nel mezzo di palazzi talmente alti, che il Sole stava dietro, e i suoi raggi potevo vederli solo riflessi dai vetri delle finestre degli appartamenti dell’ultimo piano. Il miei orizzonti erano muri senza eco, e i miei odori, fumo denso di autobus misto a olio bruciato male delle macchine degli anni ’60. Dormivo tra le urla di sirene d’ambulanze in fuga veloce, il terrorizzante clangore metallico del camion della spazzatura, e il periodico tintinnio dei vetri al passaggio pesante dell’autobus. Toccavo marmi lisci e asfalto consunto. Non vedevo alberi e non sapevo dove fosse la Montagna. Mi pareva che fosse tutto a posto, fino a quando andai a vivere in un posto senza luce né telefono, dove il vicino più prossimo si trovava a trecento metri ed era un vecchio che viveva da solo. Niente fu più al proprio posto, dopo che la Montagna era lì davanti giorno e notte, perfetta nel suo contorno da occidente a oriente, magnifica.

Iniziò un cambiamento, dopo che i miei occhi impararono la differenza tra stelle e pianeti, dopo che le mie mani si tuffarono nella terra zappata, e le mie orecchie percepirono la musica della neve che scende giù. La trasformazione da chistiano che ero continuò dopo aver ascoltato il suono della terra. E dopo aver capito che la lava che avanza, che il passo dell’uomo che ci cammina sopra quando è fredda, che il vento tra le foglie di pioppo, che il fuoco di legna, che la pioggia che cade, e la cenere che cade, hanno tutti lo stesso timbro per la stessa armonia, io sono diventato come mi vedete adesso. Brutto, sbilenco e orribile, perché non sono più un chistiano. Ma, vi giuro, non ho mai vissuto meglio.

Io non sono nato quassù, ma è certo che quassù tirerò le cuoia. E mi fa una rabbia che non vi dico, nel vedervi così lontani e distratti dalle cose vere di questa vita, cose che da qui appaiono esattamente definite e importanti. Quelle piccole, soprattutto. Mi danno l’anima perché so come siete fatti, e so che laggiù dentro voi stessi, siete uguali a me. Se solo veniste quassù, non a vivere per sempre e a trasformarvi come è successo a me, ma se solo veniste prima di ogni decisione, sono sicuro che il mondo e la vostra vita sarebbero diversi. E mi date ragione, pure, per queste parole, lo so. Ma domani le avrete già dimenticate. Lo so.
Ecco perché io non torno più nel mondo dei chistiani. Perché io non voglio dimenticare e me ne fotto delle apparenze e delle abitudini.


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