E alla fine, la dedica

“Quasi Inverno”, la verità di Sergio Mangiameli, nella conversazione con Flaminia Belfiore e i suoi lettori

Mi hanno chiesto della verità. Ho risposto che è quel che sento, non quel che penso.

Mi hanno chiesto, allora, dei sentimenti e delle parole. Ho risposto che l’utilità di queste ultime si annulla di fronte a un abbraccio.

Dunque, cos’è il perdono. E’ l’orizzonte, la linea di congiunzione di qualsiasi percorso: il contatto della sera, la mano ritrovata, la quiete nel gesto di spegnere la luce, il sorriso prima del sonno. Non è da soli che si vince, mai. Ogni conquista riserva una dedica.

Ma che succede quando si salda il destino? Non lascia mai niente intorno, il destino, ed è sempre qualcosa o qualcuno a cui immaginare di dedicare cura: la più esaltante sfida che ci serve. E che abbiamo chiamato.

E se sbagliamo ancora? La natura non contempla errori, possiamo solo imparare. Imparo a lasciare libertà a chi reinterpreta il mio libro, che non mi appartiene più nel momento che l’ho finito; che la fine è sempre una consegna di compito e forse l’atto più largo di generosità. Imparo a intendere la distruzione materiale di qualsiasi forma d’arte come naturale e necessario giro di pagina, e a saper distinguere la pietà verso l’uomo immorale dalla bellezza emotiva della sua stessa opera.

Mi hanno chiesto cosa mi spinge verso lo scrivere. Il bisogno, ho risposto, di stendere su un filo di rigo il troppo pieno che arriva alla stura, e metterlo in ordine a modo mio. E’ un dolore? C’è sempre una vite nel fianco di ciascuno di noi, che a volte stringe, altre allenta. E’ il rimedio, che fa la differenza tra spezzarsi e adattarsi, che è la cifra della vita.

Poi, c’è stata una donna dagli occhi azzurri e affannati, come un cielo che abbia già osservato qualcosa di irrimediabile. La colata dell’83 mi ha sepolto la casa e annullato lo spazio dei nostri giochi nel bosco, dice. Non ci sono più. Sento che dovrei scrivere di questo, di quanto l’anima sia legata ai luoghi e ferita senza di loro.

E’ l’ora del tramonto. Ci stringiamo le mani e ci salutiamo con un sorriso su quelle cose come il dolore, la verità, il perdono, il bisogno e la fine. Con dedica.

Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020). Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina. Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
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