Dalla lapa ai massimi sistemi

La prima volta che lo incontrai, avevo sei anni e mezzo, e m’impressionò. Aveva finito di compiere una manovra perfetta in retromarcia con la sua Ape C, dopo aver preso la rincorsa per la salita di casa. Dietro al cancello tenuto aperto da mio padre, sentii la lapa imballare il motore e poi partire quasi impennandosi per via del carico di legna che portava dietro. Alla guida, vedevo un viso rubizzo con due baffi a manubrio che mi sembrarono finti. E sotto di essi, un mozzicone di sigaretta stretto tra i denti. A metà salita, vidi l’espressione concentrata di forza, come se le gambe stessero pedalando per far arrivare la lapa e il suo carico in cima. Le piccole ruote di dietro erano divaricate dal peso e quando il motore non ne ebbe più, la salita finì d’un tratto, e la lapa compì la manovra perfetta fermandosi a un passo dalla legnaia. Quasi un miracolo!

I baffi, la sigaretta stretta e le gambe uscirono fuori dalla lapa color nuvola. E mi dissero: buonasera, ragazzino! Come ti chiami? Io sono Orazio. Adesso ci mettiamo a lavorare, eh? Hai mai scaricato una lapa di ligna? Ora ti dico come si fa, perché in tutte le cose c’è un ordine.
Orazio mi spiegò che la legna si accatasta secondo le forme di ogni pezzo, e che il pezzo non si guarda soltanto, ma si valuta in mano. Mi disse che agli angoli della legnaia, ‘a ligna s’intosta, cioè si creano dei pilastrini che devono tenere il carico laterale, per non far crollare tutto. Poi, mi diede una lezione di lancio a mani nude. Il pezzo non si blocca in aria, ma si accompagna nella traiettoria con un movimento di ricezione in cui è coinvolto tutto il corpo: ccià ddari na carizza nta l’aria (devi dargli una carezza in aria). Pena, grosse schegge nei palmi.
Quando terminammo il lavoro, mi sentii davvero un ragazzo! Mi guardai le mani, non c’era un graffio e facevano un buonissimo odore.

Mentre Orazio veniva pagato da mio padre, sentii la discussione: Ngigneri, lei però non s’ha sdirrubbari pp’e Motti. U prossimu annu, ci pensu iù, a mmaggiu (Ingegnere, lei però non si ritrovi in emergenza – di legna per il camino – per la Festa dei Morti. Il prossimo anno, ci penso io, a maggio).
Intanto, per me che venivo dalla città, il contatto diretto con la lapa non volevo perdermelo. E ci giravo intorno.
‘U vo fari n’ giru? Amuninni! Acchiana. Col suo permesso, Ngigneri.
M’impressionarono tre cose, in quel battesimo della lapa: il manubrio (non il volante), l’odore (che sembrava costruita in legno), e il fatto che Orazio portasse al polso un orologio con le lancette ferme.
Io non dissi niente, ma lui se ne accorse. E alla fine del giro, da sopra i baffi a manubrio, un paio di occhi vispi mi fissarono: così i chistiani non parranu e semu  tutti cuntenti.
Scesi dalla lapa affascinato dal mistero di Orazio. Che voleva dire?

Dopo quarantacinque inverni e puntualissimi carichi di legna, dopo diverse lape e gli ultimi moderni, piccoli camion a quattro ruote motrici, dopo esser rimasto, Orazio, l’ultimo boscaiolo del paese, l’ultimo carbonaio e l’ultimo costruttore di pagghiari, io ho capito cosa volesse dire. L’ho capito bene pochi giorni fa. Sono passato dalla sua segheria per commissionargli la nuova staccionata dell’orto con pali di castagno di Tardaria.
A proposito, lei che è andato a scuola a Tardaria, non è che sa perché Tardaria si chiama Tardaria?
I baffi bianchi, non più a manubrio, sono rimasti fermi, ma gli occhi vispi no.
M’informo e glielo faccio sapere.
Le farò sapere. Quante volte la sentiamo, questa frase terribile che già sappiamo cosa significa? E quante volte per educazione borghese non mandiamo affanculo chi ce la dice sapendo di mentire? E ci rodiamo dentro nell’attesa di una risposta che mai verrà, prendendocela pure con noi stessi, per continuare a essere troppo educati, e non saper dire: caro lei, non si sbilanci a promettere, perché se non manterrà uno straccio di risposta credibile, verrò a dirglielo in faccia di fronte a tutti quanto buffone sia.

Orazio mi ha telefonato, scusandosi del disturbo, per darmi la risposta che aspettavo. Così ho appreso che Tardaria deve il proprio nome al ritardo con cui avveniva la vendemmia, ai primi di novembre, per la quota relativamente elevata. Così Orazio mi ha meravigliato assai e così ho sottolineato nella mia agenda personale la differenza che esiste tra i colletti bianchi e i chistiani da muntagna. Così ho capito una volta per tutte che i costosi e precisissimi orologi di marca, più gli smartphone di ennesima generazione con i fusi orari di tutti i mondi del sistema solare, sono minchiate. Così, infine, ho quadrato due ultime cose: la teoria dell’orologio rotto – così i chistiani non parranu e semu  tutti cuntenti –, in cui per essere credibili in questa società basta l’apparenza; e la teoria della terra, in cui chi ha a che fare con la natura conosce il tempo a memoria e non può tradire la virtù della coerenza.

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Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020). Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina. Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
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