Appello del CAI al Governo: “No a 1,8 miliardi per PNRR per nuove 1000 dighe e invasi in montagna”

Diga

“Investimenti per 1,8 miliardi da inserire nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza per nuove 1000 dighe e invasi in montagna, sono una spesa sbagliata e controproducente. Si a 1,8 miliardi per le Terre Alte”

Così inizia la dichiarazione del vicepresidente generale del Club alpino italiano Erminio Quartiani sul progetto proposto al Governo da Coldiretti, Enel, Eni e Cassa Depositi e prestiti.

“Alcuni organi di stampa ci informano che alcuni colossi del mondo agricolo, dell’energia e della finanza pubblica, come Coldiretti, Enel, Eni e Cassa Depositi e prestiti , propongono al governo di investire 1,8 miliardi di euro del Pnrr, regimentando le acque di montagna e raccogliendole in mille laghi artificiali, ai fini di garantire disponibilità idrica all’agricoltura e alla produzione di energia green, sostenendo perfino che migliorerà il valore paesaggistico dei territori.

1000 nuovi invasi sono un fattore di desertificazione delle terre alte e sottraggono loro risorse idriche a beneficio solo di chi sta a valle. Inoltre non producono migliorie al territorio e risorse idriche contro gli incendi: esattamente il contrario.

Se il governo accettasse questa proposta sarebbe un colpo alla permanenza dell’uomo in montagna. Infatti tanto ambiente sarebbe sacrificato a beneficio di pochi noti, senza ricadute in favore di chi abita in montagna, né di chi la frequenta. Devastazione di suolo, altro che resilienza!

Vogliamo inscrivere iniziative che impoveriscono la montagna, il suo ambiente e il suo paesaggio, nell’orizzonte dello sviluppo sostenibile? I costi ambientali sarebbero inestimabili, altro che ricaduta positiva di un investimento che da 1,8 farebbe lievitare il beneficio a 40 miliardi di euro.

1000 dighe si trasformerebbero in puro profitto d’impresa agricola, energetica e bancaria, senza pagare dazio, ma lasciando dietro di sé una scia di danno irreparabile per le Terre alte e i loro abitanti, senza nemmeno contropartite.

Sappiamo invece che l’energia prodotta da 1000 nuovi invasi idroelettrici andrebbe ad aggravare il costo delle bollette nelle tasche di tutti gli italiani, perché l’energia rinnovabile così prodotta, non essendo competitiva nel mercato, sarebbe gravata da incentivi che vengono pagati o dalla fiscalità generale o, come ora avviene, dai costi aggiuntivi da aggiungere alle tariffe elettriche che cittadini e imprese sostengono di tasca loro.

Siamo poi così certi che per raggiungere gli obiettivi europei per la decarbonizzazione dell’economia bisogna riempire le montagne di 1000 nuove dighe e i suoi crinali alpini e appenninici di Pale eoliche, pagate tra l’altro dal solito Pantalone?

Si possono raggiungere gli stessi obiettivi senza alimentare cattivi investimenti ambientalmente dannosi. Paesi come Germania, Francia, Austria raggiungeranno quegli obiettivi, attraverso l’uso intenso della risorsa nucleare della quale
dispongono. Noi in Italia abbiamo invece una grande disponibilità di gas, il combustibile della transizione al dopo petrolio, grazie a investimenti ottenuti con i gasdotti e le piattaforme offshore per il GNL. Usiamolo anche come scambio di disponibilità energetica nel mercato europeo, ma anche per dare compimento al progetto di metanizzazione dei territori montani e dell’intero Meridione d’Italia.

Nel frattempo incentiviamo idrogeno e solare; sosteniamo anche finanziariamente la produzione e l’uso di energia prodotta in loco, lasciando che dell’acqua dispongano i montanari, senza sottrarre loro un bene che, se ben regolato e utilizzato in loco, può generare risorse che migliorano la qualità della vita dei borghi montani”.

I concetti espressi dal Vicepresidente generale Quartiani sono condivisi dal Presidente Generale Vincenzo Torti, il quale osserva altresì che: “Ci sono decine di grandi dighe in Italia che vanno verso il fine vita, altre che non sono dotate di sistemi di pompaggio senza alcuna prospettiva di essere utilizzate perché fuori mercato.
Innovativo e utile socialmente ed economicamente sarebbe un serio progetto per usare questo patrimonio di dighe in via di dismissione, riconvertendole ad uso agricolo, irriguo e energetico per il consumo localmente circoscritto, restituendole ai territori e alle loro comunità montane (alle quali sono state sottratte nel secolo scorso ingenti porzioni di suolo montano a scopo energetico per alimentare lo sviluppo industriale dell’intero paese, senza compensazioni economiche e ambientali significative, quando le dighe purtroppo non hanno aiutato a fermare lo spopolamento dei borghi alpini e appenninici, lo sviluppo dell’Italia postbellica invece si, ma ingenerando diseguaglianza tra territori).

Non commettiamo lo stesso errore del secolo scorso, in condizioni climatiche, economiche e demografiche peggiori rispetto al passato (e per la montagna in condizioni economiche già molto compromesse).

Se sono a disposizione queste risorse finanziarie, spendiamole bene per un futuro di sviluppo sostenibile delle Terre Alte”.


In apertura foto di holzijue da Pixabay

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