Sugghiata #37: Il vostro Natale

Non ci sono, perché non vi sopporto più. Perché spendete un sacco di energia nell’autocelebrazione: ogni chiamata diventa microfono per incensarvi, ogni luce palco di sfoggio. E di più ancora per chi di voi ha già un certo contorno d’importanza: mettete in arte la rappresentazione seria del nulla, dove il nulla è la somma algebrica del risentimento privato, nascosto, e degli applausi pubblici, di corporativa appartenenza. Si fa così da sempre e in ogni luogo della Terra. Non c’è niente di nuovo nell’animo umano. Non sto raccontando novità.

E proprio per questo, me ne vado. Questo Natale ve lo lascio col messaggio del Papa, che vuole la pace, ma non lascia il posto alle donne e non riconosce il matrimonio  omosessuale. Vi lascio gli auguri ammuffiti del Presidente della Repubblica, e quelli di questo Governo che non avrà mai il coraggio di agire per le minoranze che non portano voto; che perderà ancora tempo per dare rifugi sicuri alle donne minacciate, o per i luoghi d’ascolto e guida agli uomini violenti. Poche centinaia di morti all’anno, poche centinaia di famiglie distrutte non sono operazioni d’investimento per un interessante ritorno elettorale. Si fa sempre così e in ogni posto, non solo in Italia: i miei cugini sugghi d’America, anche se vivono su orizzonti lunghissimi e in spazi esagerati, annotano ancora che lì resistono la pena di morte e l’uso libero delle armi, per gli stessi motivi.

E’ l’uomo che mi aveva già stufato, quando avevo deciso di mutare, lasciando la pelle e mettendomi le squame addosso con il carico di fetido odore, e facendo di me stesso una bestia repellente. E’ l’uomo che talvolta mi fa piangere di rabbia, per quanto potrebbe essere e invece sceglie, quasi sempre, la via più comoda. E’ l’uomo che si guarda troppo allo specchio e crede che perfino Dio gli assomigli e parli la sua stessa lingua discriminatoria.

E’ quest’uomo che oggi mi nausea. Ed è per questo che devo andarmene per un po’ e faccio gli auguri solo ai bambini, ai pazzi e agli innamorati. E una carezza, se l’accettate da una mano di rettile, a chi ha un dolore dentro, a chi si sente escluso, a chi ha perso. A tutti gli altri: rompetevi il collo.


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