Settantuno

"EtnaLove" disegno di Riccardo La Spina

– Basta che non fai tardi, Salvo. Lo sai: mamma non sarà d’accordo. Quindi non farti aspettare a cena.
– Va bene, papà. Grazie!

Il ragazzino prende il suo zaino e lascia la stanza sul retro, defilandosi rapidamente dal negozio di scarpe a due passi da Piazza Giovanni Verga.
E’ sabato pomeriggio, il padre sorride in silenzio e vorrebbe senz’altro lasciare i piedi dei suoi clienti per correre a prendere l’autobus con suo figlio, per andare a vedere la lava.
La lava a Fornazzo. E’ questa la notizia che un suo cliente speciale, il professor Alfred Rittmann, importante vulcanologo dell’università di Catania, gli ha passato da qualche ora, in virtù di una signorile simpatia dovuta senza dubbio al suo elevato tasso di curiosità.
Il Viale è contornato dalla primavera inoltrata, c’è già qualche camicia a manica corta fuori dai finestrini abbassati delle Alfa GT, vogliose di tirate al Lungomare e alla Circonvallazione con le Fulvia HF.
Salvo non si volta indietro e corre verso il suo obiettivo, che prende quasi al volo in Piazza: l’autobus per Zafferana. Il sole è ancora alto, ma lui non sta pensando più all’orario promesso. Deve andare a portare il suo corpo dove gli ordina l’anima: davanti alla colata a Fornazzo.
Ha undici anni, Salvo, e non è neanche in compagnia sull’autobus. Per certi richiami, occorre esser da soli. Ha un ciuffo così abbondante, che sembra colargli sulla fronte – come un marchio di unità alla terra vulcanica –, un tratto che non svanirà mai nel tempo a venire e che, beffando gli anni, si manterrà sempre dello stesso colore del basalto. Quando si dice che ognuno di noi porta i segni di quel che siamo.

A Zafferana scende in Piazza. La gente è tranquilla, passeggia nell’aria tiepida di questo 8 maggio. Salvo dà un’occhiata in alto a nord-est, cerca di individuare la ferita della terra alla base del Centrale, quella che ha dato il via alla prima fase di quest’eruzione indimenticabile.
Poi si sistema lo zaino, beve alla fontana, e va. Rapido, s’incammina verso Fornazzo. Qui non ci sono le Alfa GT né le Fulvia HF. Qui ci sono le Seicento e le Ottocentocinquanta,  al massimo con qualche terminale Abarth e i carburatori maggiorati. Lo raccoglie proprio una di queste alla curva prima di Petrulli.– Carusiddu, acchiana ca ti facemu avviriri ‘na Sicentu ca mancu t’a n’sonni!

Salvo non se lo fa dire due volte, è un mezzo veloce per raggiungere la lava. L’asfalto che divide il bosco del barone Nicolosi sarebbe diventato teatro di un esercizio di stile del controsterzo più ruspante, se la Seicento non avesse incontrato un fila incostante di camion e Lape cariche di tutto. Ci sono anche diversi carretti tirati da scecchi e muli, su cui si vedono mobili, sedie, letti, bauli, anziani e qualche donna con un bambino in braccio.
Nei loro sguardi non c’è fretta, nessuna traccia di urgenza, e soprattutto non c’è nessun posto di blocco.
A Milo, Salvo scende, ringrazia i piloti etnei mancati di questo sabato sera, e prosegue a piedi, svelto e determinato. C’è un sacco di gente riversa per strada, tutti si danno un gran daffare, ma nessuno urla, sembra quasi una grande adunata. Lui sa che il professor Rittmann non è lì, lo vedrà nei pressi del fronte.
Superata la segheria, entra a Fornazzo da dove tutti invece ne escono. Alcuni lasciano le porte aperte, le galline sono caricate sui camioncini assieme alle pecore. I cani liberi seguono gli uomini e le altre bestie. Qualche macchina di città è arrivata fin qui, ci sono signori con la giacca e signore col tacco e rossetto. Dov’è la lava?

Dietro la piazzetta, la terra avanza fumando sui boschi sepolti. E’ alta, non è proprio un fiume, che invece scorre basso. E’ spessa, fa volume, alza il livello di decine di metri e schiaccia tutto, anche la strada per Linguaglossa. Non si può spalare perché è quasi una montagna nuova. Questo pensa Salvo, rimanendo fermo a guardare quanto nemmeno immaginava. Fermo.
Odora il vapore di essiccamento della colata, ascolta il suono dell’avanzata, lenta, rotta, di massi in vetroso rotolamento. E rimane fermo.
Adesso che ha portato il suo corpo in perfetta aderenza all’anima, proprio adesso incrocia lo sguardo di Rittmann.
Il professore non chiede al ragazzino che-fai-qui! Non gli dice niente. Solo gli fa cenno con la mano di avvicinarsi a lui.– Guarda, Salvo. Qui la legge di gravità cosmica perde nei confronti della forza dell’Etna.

Salvo diventa un enorme orecchio.– Questi massi in raffreddamento, la colata insomma viene giù non per gravità. Dai crateri di Serracozzo, adesso è qui davanti a noi per spinta, per quella forza endogena che esiste nei pianeti vivi. E’ come il dentifricio: se lo capovolgi, non esce niente. Ci vuole la tua forza endogena che lo preme e fa uscire la pasta.Rittmann fissa Salvo. Salvo non gli fa la domanda banale quando finisce? Gliene fa un’altra.– Chi preme la Terra?
– E’ quello che dovrai capire.Non c’è niente di meglio che incontrare un ottimo maestro per diventare presto se stessi.

Quella sera dell’8 maggio 1971, il ragazzino la ricorderà per sempre, per tre ragioni. Uno, gli cambia la vita, o più precisamente la trova, la sua vita. Due, fa così tardi a rientrare, che il rimprovero di sua madre tacita persino i boati dell’Etna. Tre, sull’Etna, l’eruzione del ’71 fa nascere il cono terminale di Sud-Est, detto poi SE, e poi ancora SE Crater, la bocca sommitale più attiva dei nostri giorni.
Il ragazzino Salvo diventerà il vulcanologo Salvo Caffo del Parco dell’Etna, che si spenderà nell’anima per contribuire a consegnare la bellezza unica di questa terra, patrimonio dell’umanità, al mondo intero. Con lo stesso ciuffo basaltico del Settantuno.

Sergio Mangiameli

In apertura “EtnaLove” disegno di Riccardo La Spina

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Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020). Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina. Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
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