Gli stivali di un gatto

Disegno di Riccardo La Spina

Tutta ‘sta storia ebbe inizio verso la fine di un pomeriggio capriccioso di inizio giugno – uno come questi, dove il caldo vive momenti d’incertezza e il fresco si àncora ai lampioni delle piazze, alle panchine di ferro, perfino ai capelli di certe donne anziane, che lo sanno, e fermano i loro capelli tenendosi la testa per il tempo di attraversare la piazza di uno di questi paesi dell’Etna.
La piazza. Era quella dei Coragni di Trecatarri, proprio lì dove attraccò il vascello di Capitanuncino – ma questa è un’altra storia, già raccontata.
In quella cruna, in cui passò sgomitando l’ultimo sputo di sole, un gatto, grosso, scuro, serio e infastidito, si tolse gli stivali. Prima il sinistro – per scaramanzia, perché di fronte agli uomini dai capelli neri, tutti i gatti, anche quelli con gli stivali, sono molto superstiziosi; poi l’altro. Gli uomini, si sa, anche quelli dai capelli neri, non si accorgono nemmeno di un gorilla che gli passa davanti, se decidono che non c’è nessun gorilla in quel posto. E in Piazza dei Coragni, in quella culla di sera, non ci poteva mai stare, nella mente di un uomo adulto, un cazzo di gatto con un paio di stivali, seduto a bordo dell’aiuola dei tulipani, serio e infastidito, a levarsi prima il sinistro e poi il destro stivale.

Naturalmente, fu un ragazzino solitario, che non voleva rientrare a casa a fare l’ultimo compito prima dell’estate, ad accorgersene. Bloccò la ruota di dietro della sua bici, sbandò con consumato controllo e fissò il felino da dieci metri di distanza.
Che vuoi? I miei stivali? – il gatto non lo degnò manco di un decimo di sguardo.
No, voglio solo guardarti, che poi farò un disegno.
Un che? Miaouu!! – stavolta gli perforò le pupille con due raggi laser felini senza gli stivali. Il pelo si drizzò, le orecchie si appiattirono ai lati della testa e si preparò all’assalto del fastidioso-piccolo-bipede-curioso.
Aspetta… non ti levo mica l’anima… – fece il ragazzino, rimanendo fermo, però.
E che ne so io, se non mi togli l’anima?
E’ solo un disegno.
E l’anima?
Te la tieni, chi credi che voglia la tua anima squinternata di gatto disadattato, adesso senza nemmeno un paio di stivali vecchi?

Le orecchie tornarono alla posizione ordinaria, anzi scivolarono un po’ sui lati, come se avessero perduto un certo appiglio. Lo sguardo, sbiadito, si allargò sul contorno, abbandonando quasi il ragazzino, e lui, il gatto senza gli stivali, lasciò andare giù anche le spalle.
Seduto sul bordo dell’aiuola dei tulipani, adesso appariva come un gatto qualsiasi, invaso da una tristezza qualsiasi di un giorno qualsiasi. Il ragazzino lo aveva colpito proprio nel momento perfetto, in cui ogni barriera felina era abbassata e la freccia arrivò dritta al cuore, senza nemmeno fargli provare una fitta.
Disse solo così, il gatto: “Tieni, prendi questi stivali, non mi appartengono più”.
Il ragazzino non se lo fece ripetere, lasciò perdere la bici e si affrettò a calzare gli stivali, prima il destro e poi il sinistro, per abitudine personale. E vide che gli stavano benissimo, di misura esatta.
Ma com’è possibile? Si sono allungati?? – era seduto accanto al gatto, e si voltò verso di lui.

Le corolle dei tulipani si mossero di quel tanto che un coragno-sentinella se ne accorse, e nel suo buffo avanzare da gallinaceo alla ricerca dell’ultima mollica, si arrestò, drizzò il collo, e coragnò agli altri del gruppo in vernacolo tutunese*: “Tuu!-tuuuu-tu!”, U-iattoo!-i-stuvaaali-lassau!
Silenzio piombato, improvviso, in tutta la piazza. Si arrestarono centinaia di coragni, fermi come fulminati. Le rondini volarono in sordina, senza stridere, curiose di capire cosa stesse succedendo. Naturalmente, gli uomini e le donne in transito quella sera per la Piazza dei Coragni di Trecatarri, non si accorsero di nulla. Men che meno del fatto che un gatto stesse parlando con un ragazzino, a cui aveva appena donato i propri stivali.
Come ti chiami, ragazzo?
Ric. E tu?
Io ero il Gatto-con-gli-stivali, poeta itinerante dei boschi e delle sciare dell’Etna, per secoli. Ric – bel nome: stretto, sintetico, come la migliore poesia… -, quelli che hai adesso ai piedi sono soltanto immagini, che a te sembrano esatte, perché sei un poeta. E’ l’immaginazione degli artisti, la visione unica che accomuna le speranze di questa terra. Questi stivali ti obbligano a camminare, a correre per sciàre, boschi, monti e contrade, perché non c’è poesia se non quella legata al proprio spazio. Ric…
Dimmi.

Diffida di chi dice di esser artista di questa montagna e non ha mai camminato né corso, sciato, mai s’è perduto tra sciare, boschi, monti e contrade. Ric…
Dimmi.
Questi stivali ti porteranno dove non immagini e ti salveranno dall’oblio della scontatezza, dal disincanto e dal cinismo degli adulti. Osserverai l’alba e potrai piangere, ma non piangerti mai davanti a nessun tramonto, perché sarà l’odore di questi stivali a farti ritrovare per sempre la meraviglia di questa età.
I coragni stavano ancora zitti. Le rondini avevano smesso di volare.
Ric, allora domandò: “Ma tu perché hai smesso?”
Il Gatto rise amaro: “Perché, caro mio, il re si è rotto le scatole della poesia, dice che non si mangia con le parole, e soprattutto dice – e questo è vero – che alla gente non gliene fotte più niente delle parole, meno che mai scritte e soprattutto in rima. E dunque, il mio tempo e talento sono finiti. Basta. Il-gatto-con-gli-stivali si ritira e torna a cacciare lucertole e topi. Ma con gusto”.
Ehi, Gatto…
Dimmi, Ric.

Io voglio solo raccontare storie, disegnando. Mi sento diverso dagli altri ragazzini, forse ho una malattia…
Tutti i coragni, nessuno escluso, ascoltarono quest’ultima parola, e drizzarono il collo, trattenendo il respiro. Le rondini s’appesero ai nidi e divennero inerti, come pipistrelli addormentati.
E il Gatto parlò.
Vedi, Ric, voi ragazzini sapete benissimo chi siete, solo che tendete all’esagerazione. Ricordati una cosa e fattela valere per quando sarai adulto e ricorderai di un assurdo dialogo con un gatto senza gli stivali, in un inizio di sera di giugno nella piazza dei Coragni: solo imparando a fare le cose che abbiamo sempre fatto, si guarisce.
Non si sa quanto tempo rimasero, Ric e il Gatto, seduti vicini in silenzio. Quando Ric si alzò e prese la bici, si voltò indietro e naturalmente vide solo i tulipani coi petali chiusi che già dormivano. L’Etna, sullo sfondo, sovrastava uno dei più lunghi tramonti dell’anno.

* Tutunese è il modo di comunicare tra tutùni. Che sono i tutùni? I coragni in dialetto di Trecatarri, ossia i piccioni in italiano.

Sergio Mangiameli

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Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020). Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina. Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
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