Corre il coniglio (prima parte)

Prima parte (Racconto tratto da “Rua di Mezzo Sessantasei” – Il Filo ed.)

Papà andava a caccia. Si svegliava presto, prendeva fucile, coppola e munizioni e usciva direttamente a piedi. Attorno a Rua di Mezzo sessantasei, c’erano ancora i vigneti, i boschetti e le radure. Querce imbrigliate a speroni di lava e radure punteggiate di ginestre ondeggianti; vigne piccole e terrazzate, con la rasola grande al centro come uno spartiacque tra le onde scure. Quelle ancora coltivate avevano la terra nera messa a monzelli – zappata cioè a piccoli cumuli – quelle abbandonate avevano la terra dura come la pietra e un mare di rovetti, dove spesso si trovavano carogne di cani e gatti e anche di pecore.

I conigli facevano le tane ai margini dei muretti a secco delle vigne, oppure ai piedi di qualche  ginestra, dove ancora la sabbia non era indurita. Erano molti, perché volpi non ce n’erano e quelle poche stavano più su, alla larga dai branchi di cani randagi. C’erano pernici e colombacci, ma papà faceva la posta ai conigli. Una mattina di domenica, mentre con mia sorella facevamo colazione, lui fece ritorno con un coniglio.

«Cicala! Vieni a vedere» a mamma
«Io non te lo pulisco» gli rispose. Noi uscimmo in veranda e vedemmo papà in posa, con un piede sulla preda, che sorrideva all’obiettivo della macchina, mentre mamma schiacciava per scattare. La foto è rimasta ma tutto quello che c’è stato dopo, è finito senza deroghe. Non mi esortò mai ad andare a caccia con lui, fui io che incuriosito gli dissi «vengo anch’io».

Così una domenica di primavera, tanta era l’ansia di essere pronto che non ci fu bisogno di svegliarmi, mi presentai in cucina in perfetto ordine. E fui io ad aspettare mio padre.
Andammo, e già prima di uscire dal cancello, lui mi disse che dovevo seguirlo subito dietro, senza mai affiancarlo. Prendemmo per il sentiero che saliva verso Due Palmenti, entrammo attraverso una breccia nel muro in pietra a secco e ci trovammo in una larga vigna abbandonata. Camminammo ancora per un po’. Io ero eccitatissimo, mi sembrava un’esplorazione, un’avventura. Dietro di lui, percepivo il suo odore, e anche quando si accese una sigaretta non mi dispiacque. Poi mi disse di stare attento a non calpestare i rami secchi. Attraversammo la vigna e a me questa caccia stava piacendo moltissimo. Era straordinario esplorare insieme a papà. Adesso la Montagna si vedeva come un unico bosco, senza strade e senza nemmeno quei pochi tetti e quei pochi muri di cinta delle case. Il Centrale sbuffava lente volute di vapore bianco, che scivolavano piano verso oriente, quasi carezzando i bastioni della Valle del Bove. Il sole era ancora basso e le ombre delle ginestre erano ancora molto lunghe. Eravamo già entrati nella radura.

Qui mio padre si girò e con un dito dritto sulle labbra, mi disse piano di fare silenzio: non parlare assolutamente. E si accovacciò. E mi accovacciai anch’io. Il silenzio era totale, lui smise anche di fumare. Mi piaceva trovarmi insieme a papà in quel posto, con tutto quel silenzio e senza altre persone in giro. Soli. Che bella cosa era la caccia! Bellissima. Aspettammo. Aspettammo un po’ di tempo. Aspettammo parecchio tempo. Sentivo il bisogno di muovermi, così mi alzai e vidi a non più di dieci metri il profilo di un coniglio marrone scuro, fermo.

«Papà, guarda, un coniglio!» urlai toccandogli la spalla. Il  contraccolpo del fucile mi diede una scossa alla mano e il botto mi rintronò le orecchie.
Lui si voltò e mi urlò in faccia «che ti avevo detto? Non ti muovere, stai zitto! Tu non vieni più a caccia con me!». Era furioso. Io ero spaventato dalle sue urla, e non capivo.
«Andiamo!» disse, e ricominciammo a camminare in fila. Lasciammo la radura, entrammo nella vigna e la oltrepassammo sulle stesse orme di prima. Mi venne un dubbio. Lo toccai appena con un dito, senza parlare.
«Che c’è?» mi domandò in modo brusco, senza voltarsi.
«Stiamo tornando a casa?».
«Certo che stiamo tornando a casa!».
Ma perché a casa? proprio adesso e dopo tutto quel tempo passato lì accovacciati. Adesso che  eravamo riusciti a vedere un coniglio così da vicino, adesso facciamo ritorno a casa?

Cominciai a pensare al sonno che avevo addosso e all’emozione dell’attesa. E cominciò a salirmi un po’ di fastidio, una vena di protesta. Quando passammo la breccia del muro della vigna, parlai a voce alta, senza toccarlo «perché stiamo tornando a casa?».
Lui si voltò, con gli occhi minacciosi e l’indice puntato contro:
«Perché non si può andare a caccia con te, con uno che urla quando ti avevo detto di non parlare!».
«Ma scusa, avevo visto un coniglio e volevo dirtelo».
«Anch’io l’avevo visto ma sono stato zitto».
«E perché non me l’hai detto, se l’avevi visto?» mi stavo arrabbiando.
«Aahhh, perché se te lo dicevo il coniglio scappava, come è scappato appena tu hai urlato!» e riprese a camminare.
«E allora?» non mi mossi.

(Leggi la seconda parte)
Leggi altre: Storie dell’altro mondo
Sergio Mangiameli è del ’64, geologo, giornalista pubblicista, interprete naturalistico, vive sull’Etna. Ha pubblicato i racconti “Dall’ulivo alla luna” (Prova d’Autore, 1996) e “Rua di Mezzo sessantasei” (Il Filo, 2008), i romanzi “Aspettando la prima neve” (Rune, 2009), “Dietro a una piuma bianca” (Puntoacapo, 2010), “Sul bordo” (Puntoacapo, 2013), “Come la terra” (Villaggio Maori, 2015, che ha partecipato a MontagnaLibri 2016 del Trento Film Festival), “Quasi inverno” (A&B Editrice, 2018), "La nevicata perfetta" (A&B Editrice, 2020). Ha scritto i testi di “MicroNaturArt – voci dal microcosmo” (Arianna, 2014), esperimento letterario di fotografia scientifica; i racconti di “Ventiquattr’ore – fotografie di finestre e parole intorno” (Puntoacapo, 2016), i cui scatti sono di Lino Cirrincione; e, assieme al vulcanologo Salvo Caffo, “Etna patrimonio dell’umanità, manuale raccontato di vulcanologia e itinerari” (Giuseppe Maimone Editore, 2016), con le illustrazioni di Riccardo La Spina. Ha scritto i testi dei film corti “La corsa mia” e “Idda”, e i monologhi “Questa storia” e “Il gioco infinito”, visibili entrambi su YouTube. Sul portale web Etnalife, scrive racconti etnei per la rubrica letteraria “Storie dell’altro mondo”. “La piuma bianca” è il suo blog sul magazine online SicilyMag. L’esperimento nuovo è “Le colate raccontate” – vulcanologia storica dell’Etna e narrativa surreale insieme, tra esattezza scientifica e finzione letteraria in racconti –, portato in scena col vulcanologo Stefano Branca.
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